In quella tiepida serata di inizio maggio, seduto su uno scoglio, contemplava il magico istante del tramonto, quando il sole, al suo calare, sembrava sfiorare l’acqua in un tenero abbraccio verso altri mondi: una spinta ad osservare oltre, verso altre dimensioni, una forte vibrazione energetica che fluiva nell’universo e che riusciva a percepire dentro di sé rimanendo concentrato sul momento presente.
Proprio come in quella sera, osservando la luce del tramonto riflettersi sulle onde che lentamente s’infrangevano in un moto continuo, si era più volte seduto su uno scoglio, riflettendo a lungo e chiedendosi se il tempo fosse reale o semplicemente il frutto della nostra immaginazione e per quale motivo la nostra percezione fosse quella o del suo progredire in avanti come una linea che possiamo idealmente immaginare con una sola direzione univoca, oppure di un ciclo, come quello lunare, dell’alternarsi del giorno e della notte o del susseguirsi delle stagioni, assimilabile ad un cerchio dove l’inizio e la fine non si riescono a definire con chiarezza.
Più volte aveva provato ad immaginare un mondo senza materia, intuendo che in quel caso il tempo non avrebbe potuto misurare nulla e che vi sono aspetti eterni dell’esistenza che non si trovano nel tempo.
Tanti filosofi e scienziati, sin dall’antichità, si sono interrogati sul suo significato; noi lo misuriamo o forse abbiamo solo la vana illusione di misurarlo: l’orologio ci dice che ore sono, ma la sua misurazione non ci fornisce un’indicazione verso la profonda comprensione del suo significato.
Si era più volte chiesto se davvero ne esiste un inizio e una fine o se forse, l’unico vero tempo è il momento presente, perché l’unico che possiamo vivere.
Se volessimo misurare per quanto tempo è, per sempre, non riusciremmo mai a darne una quantificazione, quindi si può ritenere che anche la sua misurazione, sia pura illusione; allo stesso modo si potrebbe pensare che esso possa scorrere a diverse velocità per il semplice fatto che ciascuno di noi lo sperimenta a suo modo, ognuno di noi ne ha uno proprio, che scorre con la velocità giusta per sé stesso; ognuno di noi lo gestisce, lo plasma, lo limita o lo potenzia, ci si avvolge o lo circoscrive.
Si era spesso chiesto se non fossimo proprio noi stessi a costruirlo, a misurarlo e a subirne incondizionatamente il suo carattere impetuoso ed era arrivato alla conclusione che ciò che permette di distinguere e confrontare gli aspetti del tempo risiede nella coscienza: misuriamo il futuro in base all’atteggiamento di attesa del nostro animo e il passato in rapporto alla memoria che abbiamo di esso.
Egli non lo percepiva come quell’apparente sensazione di un continuum spaziale che dal passato arriva al presente, come un fiume che scorre attraverso un continuo flusso nella stessa direzione e in cui gli eventi si verificano in una successione irreversibile fino a proseguire nel futuro; per lui il tempo assomigliava ad un pensiero concepito da forze di una intensità fortissima, un prolungamento infinito di una dimensione più ampia, arrivando a sentire, nella parte più profonda della propria anima, una sorta di dilatazione della propria coscienza, proprio come quei centri concentrici che si formano nell’acqua intorno al punto in cui cade un sasso: allo stesso modo la sua coscienza si era espansa a tal punto che aveva smesso di preoccuparsi di ciò che doveva ancora accadere o di ciò che era già avvenuto, sentendo dentro di lui quell’onda di vita pervaderlo in un persistente flusso.
Il tempo rimane un mistero, forse un’illusione della nostra mente, ma egli, attraverso l’energia del proprio cuore era riuscito a dargli vita, trasformandolo nel suo più prezioso alleato.
